L’inizio non è un punto qualsiasi della storia
Come scrivere un incipit efficace? Come iniziare la nostra storia?
“Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.
Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.”
Uno degli incipit più famosi del mondo, tratto ovviamente dalla Divina Commedia di Dante Alighieri, il padre della lingua italiana. Un incipit del genere è straordinario perché capace al tempo stesso di coinvolgere e introdurre la storia che stiamo per leggere in appena pochissime righe! (grazie, certo, all’abilità magistrale del sommo poeta).
Tralasciando tutti i significati allegorici di cui la Commedia abbonda, qui il Dante autore (coincidente con il Dante protagonista della storia) racconta di essersi ritrovato improvvisamente all’interno di un fitto bosco oscuro… senza neanche rendersene conto! E di aver completamente smarrito la strada per uscirne! Un luogo spaventoso e inquietante che il solo pensiero incute timore. Aggiunge inoltre che grazie a questo incidente di percorso è riuscito a trovare qualcosa di buono, meritevole di essere raccontato. Eccolo qui: un esempio di incipit che introduce, coinvolge e incuriosisce.
Facciamo ora un salto di qualche secolo:
“Nell’anno 1878 mi laureai in medicina all’Università di Londra e mi trasferii a Netley per seguire un corso prescritto per i medici militari. Finiti gli studi a Netley, venni destinato al 5° Reggimento Fucilieri Northumberland. Allora il reggimento era di stanza in India e prima che io lo raggiungessi scoppiò la seconda guerra afgana. Sbarcato a Bombay, seppi che le truppe, avanzate attraverso i passi montani, si trovavano già in territorio nemico. Con molti altri ufficiali che si trovavano nella mia stessa situazione, partii ugualmente per raggiungerle e riuscii ad arrivare sano e salvo a Candahar, dove trovai il mio reggimento e assunsi le mie nuove funzioni.”
Questo incipit appartiene a un romanzo pubblicato nel 1887 sullo Strand Magazine: Uno studio in rosso. Ecco la nascita ufficiale del più grande investigatore della storia: Sherlock Holmes.
Doyle si avvale di una particolarità strabiliante per caratterizzare il suo personaggio, mai più imitata da altri scrittori: Holmes è l’unico protagonista indiscusso di romanzi e racconti a cui il suo autore non assegna mai il punto di vista narrativo! Il lettore è sempre con Watson, che osserva e interpreta Holmes cercando di capire come faccia a risolvere anche i casi più difficili. Il motivo di questa scelta è semplice: – spiega lo scrittore ed editor Franco Forte, direttore delle collaneda edicola Mondadori – Doylenon voleva svelare le capacità investigative di Holmes, che alla lunga avrebbero potuto diventare ripetitive, né voleva far capire al lettore i suoi meccanismi narrativi capaci di rendere Holmes un genio dell’investigazione. Dunque, meglio non portare mai il lettore nella testa di Sherlock per fargli avvertire i suoi pensieri. Meglio tenerlo a distanza, nel più “normale” dottor Watson, in cui chiunque avrebbe potuto immedesimarsi, e con lui stupirsi delle straordinarie capacità di Sherlock Holmes.